La cataratta

La cataratta

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La cataratta è la principale causa di diminuzione dell’acuità visiva in tutto il mondo, colpisce circa il 40 percento della popolazione con oltre 60 anni di età ed è causata principalmente dall’invecchiamento del cristallino.

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È la prima causa di cecità nei paesi non industrializzati e la seconda nei paesi industrializzati, dopo la retinopatia diabetica. Il cristallino è una lente situata all’interno della parte anteriore dell’occhio ed è costituita da una parte centrale chiamata nucleo, una parte periferica (corticale anteriore e posteriore) e un involucro chiamato capsula.

La sua funzione è far convergere la luce sulla retina e mettere a fuoco l’oggetto fissato. Quando questa lente perde la sua trasparenza, alla retina vengono trasmette delle immagini offuscate che non consentono di distinguere bene i contorni degli oggetti vicini e lontani ed i colori. Ne consegue una riduzione della funzione visiva, quindi un calo della vista.

La cataratta, oltre ad essere legata al normale processo di invecchiamento del cristallino, può essere associata anche ad altre patologie. Tra le patologie oculari: iridociclite (la più frequente), uveiti posteriori, glaucoma acuto, miopia elevata, tumori endoculari, distacco di retina. Tra quelle sistemiche: diabete.
La cataratta è caratterizzata da una lenta e progressiva riduzione dell’acuità visiva non solo in termini quantitativi, ma anche qualitativi. Il soggetto si lamenta di vedere annebbiato, con alterazione della sensibilità al contrasto e della percezione dei colori (gli oggetti appaiono ingialliti).
I sintomi sono inequivocabili: annebbiamento visivo, calo dell’acuità visiva, alterazione nella percezione dei colori, che vengono percepiti sbiaditi, meno “vivi” con tendenza a tonalità più opache, necessita di maggiore luminosità, diplopia monoculare e abbagliamento.

Diagnosi e trattamento

È importante consultare l’oculista ai primi sintomi e, dopo la diagnosi, seguire l’evoluzione della cataratta con visite periodiche, in modo da non rinviare per troppo tempo l’intervento.
Non esistono farmaci che possano guarire la cataratta o limitarne lo sviluppo, a qualunque stadio si trovi può essere “curata” solo chirurgicamente.
Contrariamente a quanto si riteneva in passato, la cataratta non ha bisogno di “maturare”, cioè di svilupparsi completamente prima di venire operata poiché, con le attuali tecniche chirurgiche, l’estrazione del cristallino con opacità e durezza media è meno complicata e impegnativa rispetto all’estrazione di un cristallino indurito dal tempo.
La cataratta va operata quando disturba in maniera significativa la vista e impedisce alla persona che ne è affetta il normale svolgimento delle sue attività quotidiane (leggere, scrivere, guidare, vedere un film).

Trattamento chirugico

L’intervento chirurgico non provoca alcun dolore, il paziente avverte al massimo una leggera pressione e un leggero fastidio. Nella maggior parte dei casi richiede solamente un’anestesia topica (poche gocce di un collirio anestetico nell’occhio); non richiede punti di sutura, fatta eccezione per casi particolari, e dura dai 10 ai 20 minuti. L’intervento può essere diviso in due fasi: la rimozione della cataratta e la sostituzione del cristallino con una lente artificiale.

Facoemulsificazione intervento di cataratta


La tecnica utilizzata è quella della facoemulsificazione: si pratica una piccola incisione (2-3mm) sulla cornea da dove, con una piccolissima cannula, vengono aspirati i frammenti del vecchio cristallino precedentemente frantumato con un sistema di ultrasuoni. Dopo pochi minuti si inserisce già il cristallino artificiale che si adatta perfettamente al sacco capsulare dove era situato il cristallino naturale.

Lente intraoculare cristallino artificiale

Il pieno recupero dell’occhio avviene mediamente in una settimana, ma già dopo i primi due o tre giorni il paziente è in grado di svolgere le sue attività quotidiane.

 

Complicanze

La cataratta è l’intervento chirurgico più eseguito in Italia (circa 500.000 interventi ogni anno) e le tecniche chirurgiche hanno ridotto i rischi intraoperatori (0,01 percento circa). Le complicanze possono riguardare sia l’atto operatorio che il periodo post operatorio. Per quanto riguarda l’atto chirurgico possono verificarsi problematiche relativamente alle strutture oculari che non influenzano il risultato funzionale.
Più di frequente può capitare che il processo di guarigione in certi casi sia più lungo che in altri, con fastidi quali arrossamento, lacrimazione o sensazione di corpo estraneo.
La complicanza più temibile è l’infezione delle strutture interne dell’occhio (endoftalmite post-operatoria) dovuta a germi patogeni esterni. Può portare alla perdita funzionale dell’occhio, se non si interviene tempestivamente e adeguatamente. Per fortuna la sua frequenza è relativamente bassa: 4 casi circa ogni 1000 interventi.
Altra complicanza temibile e non del tutto rara è la rottura della capsula posteriore. Si tratta di un inconveniente in corso di intervento, che può determinare lo scivolamento di frammenti di cataratta nel vitreo. Un’attenta gestione della complicanza da parte del chirurgo riduce al minimo i rischi di riduzione della funzione visiva.
La cataratta secondaria è una opacizzazione della capsula posteriore del cristallino, ossia dell’involucro che si trova dietro la lente artificiale.

Valutazione ortottica e intervento di cataratta

Quando?

Nella fase pre e post operatoria dell’intervento di cataratta è importante eseguire una valutazione ortottica per verificare la presenza o meno di alterazioni della motilità oculare e della visione binoculare. L’assenza di strabismo, e quindi una buona funzione visiva, è determinante per l’esito dell’intervento e per un buon recupero visivo sia a livello quantitativo che qualitativo.

Chi deve sottoporsi alla valutazione ortottica prima dell’intervento di cataratta?

Devono essere sottoposti a valutazione ortottica: i miopi elevati; i pazienti anisometropici, quindi con una elevata differenza refrattiva tra un occhio e l’altro; coloro che hanno uno strabismo manifesto o latente; chi presenta alterazioni della visione binoculare, quindi diplopia, deficit della fusione sensoriale e motoria.

 

Visita ortottica

Perché?

La presenza di vizi di refrazione elevati (miopia) o la differenza refrattiva tra i due occhi possono causare dopo l’intervento di cataratta la comparsa di strabismo o diplopia. È bene, quindi, valutare e quantificare prima dell’intervento la capacità visiva del paziente e prevenire le alterazioni motorie e sensoriali che possono presentarsi dopo l’impianto del nuovo cristallino.

Fibrillazione atriale

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La fibrillazione atriale è un tremolio o battito cardiaco irregolare (aritmia) che può portare alla formazione di coaguli di sangue, ictus, insufficienza cardiaca e altre complicazioni legati al cuore. Molti italiani ne sono affetti ma non sanno di esserlo.

Ecco come i pazienti hanno descritto la loro esperienza:

“Il mio cuore fa flip-flop, salta battute, e si sente come se sbattesse contro la mia parete toracica, soprattutto se sto portando dei pesi o mi piego verso il basso.”

“Ero nauseato, testa leggera, e avvertivo debolezza. Ho avuto un battito cardiaco molto veloce e mi sentivo come se mi mancasse il fiato “.
“Non ho avuto nessun sintomo. Ho scoperto la mia fibrillazione atriale ad un regolare check-up. Sono contento che sia stata diagnosticata in tempo. “.

Acne Rosacea – una patologia non rara

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Acne rosacea

La Rosacea è una malattia infiammatoria comune del volto – riguardanti in particolare il naso, guance, mento e fronte. Nelle sue fasi iniziali è più spesso causa di brufoli rossi e cisti piene di pus simili a quelli osservati nell’acne adolescenziale. La causa esatta di acne rosacea non è nota, ma si pensa che sia simile per certi aspetti all’acne adolescenziale. Sappiamo che non è assolutamente contagiosa. La malattia della pelle può, in rari casi, essere associata ad una infiammazione delle palpebre conosciuta come blefarite e può dare origine a delle ulcere corneali neurotrofiche.

Ossa fragili per chi abusa della TV da piccoli

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Ossa bambini

Ossa fragili da grandi per chi guarda troppa TV da piccoli.

Uno studio dell’Università di Perth, in Australia afferma che chi guarda troppa TV da piccolo, avrà le ossa più fragili da grande. La spiegazione a tale risultato è dovuta dal fatto che trascorrere tante ore alla TV induce ad avere un livello di massa ossea inferiore alla media negli anni più critici e importanti, quelli successivi all’adolescenza. 1181 i pazienti coinvolti. Lo studio ha analizzato diversi fattori come l’altezza, la massa corporea, il livello di vitamina D e le abitudini dei più grandi relativi all’alcol e al fumo. I valori scaturiti, per coloro che hanno guardato la TV per più di 14 ore settimanali durante l’infanzia e l’adolescenza, hanno evidenziato un livello inferiore di minerali nelle ossa rispetto alla media, e rispetto a quelli che trascorrevano meno tempo di fronte allo schermo. L’obiettivo di tale studio è quello dichiarato da sempre di ridurre la sedentarietà, che nei bambini porterebbe ad avere benefici a lungo termine, dunque il raggiungimento della massa ossea ottimale in età adolescenziale, risulta protettivo contro l’insorgenza dell’osteoporosi più avanti nella vita.

Alluce valgo, come agisce il podologo

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Le nostre nonne lo chiamavano “cipolla”, e davvero un alluce valgo può far piangere dal dolore, soprattutto quando si cammina. L’alluce valgo (foto 1) è una deformazione che assume il piede. Non mantiene più il suo asse naturale e crea un angolo, non solo esteticamente poco gradevole, ma soprattutto, dal punto di vista biomeccanico funzionale, conduce a una serie di conseguenze a catena che si ripercuotono sui metatarsi, creando dolore e zoppia.

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Alluce valgo (foto 1).

Il motivo per cui si instaura questa deformità non è noto ma si conosce il meccanismo per cui si aggrava. Si instaura un meccanismo a corda d’arco, ovvero uno squilibrio di forze, favorito da una predisposizione congenita alla lassità dei legamenti e dei muscoli flessori dell’alluce e della volta plantare facilitando, a lungo andare, l’insorgere di altre patologie, come borsiti, dita a martello e metatarsalgie. Al primo posto tra i fattori predisponenti in questa patologia si ha l’ereditarietà (nonne, mamme o zie che già lo hanno avuto) e il sesso, è molto più frequente nelle donne con una incidenza di 3 a 1. Altri fattori predisponenti possono essere patologie strutturali come il piede piatto, patologie reumatiche come l’artrite reumatoide e calzature incongrue.
Spesso l’alluce valgo è la conseguenza di abitudini sbagliate, come scarpe che costringono i piedi in posizioni innaturali (una punta molto stretta induce il piede a una chiusura laterale che porta alla formazione dell’alluce valgo). Si può cercare di prevenire indossando scarpe idonee, e quindi una calzatura con punta adeguata alla forma del proprio piede, larga e morbida. L’alluce valgo, con l’andare del tempo, tende ad avere un peggioramento, proverà a posizionarsi sopra le altre dita in maniera fastidiosa. Inoltre si osserverà un’articolazione sempre più rigida fino a provocare l’insorgere di un quadro artrosico e una forte sofferenza delle ossa sesamoidi che, a causa della rigidità dell’alluce, porterà a una deambulazione estremamente difficoltosa. In queste circostanze il Podologo può intervenire attraverso i mezzi conservativi che ha a disposizione. L’ortesi digitali protettive (foto 2) realizzate su misura, grazie a cui, le forze compressive della calzatura, non danno dolore.

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Protezione per alluce valgo (foto 2)

Spesso il dolore è il motivo per cui ci si opera. In caso di infiammazione dell’esostosi, si può realizzare un bendaggio funzionale con il cerotto Tape o Kinesio (foto 3).

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Applicazione kinesio taping per alluce valgo (foto 3)

È possibile ristabilire la corretta posizione dell’alluce anche mediante l’utilizzo di ortesi plantari (foto 4), eliminando il dolore e modificando il modo di camminare senza necessità di un intervento chirurgico

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Realizzazione di ortesi plantari alluce valgo (figura 4)

Nel caso in cui la soglia del dolore venga compromessa da questa insidiosa patologia e le terapie podologiche non riescono a garantire una qualità di vita soddisfacente, si può ricorrere all’intervento chirurgico con una tecnica innovativa chiamata Percutanea Mininvasiva (foto 5).

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Chirurgia percutanea mininvasiva alluce valgo (foto 5)

L’intervento consiste nell’effettuare un’osteotomia correttiva sulla prima falange, eseguendo un forellino cutaneo sul dorso del dito, in modo da permettere il riallineamento del primo raggio. Infine si pratica un bendaggio che permette al paziente di deambulare immediatamente con un’apposita calzatura post-operatoria, riducendo le complicanze e accorciando il processo di guarigione. Oggi, grazie ai progressi fatti negli ultimi anni, l’intervento di correzione dell’alluce valgo non è più doloroso e vanta tempi di recupero molto rapidi. Stop, dunque, alle incisioni cutanee, alla correzione tramite viti, fili di Kirschner e all’immobilizzazione prolungata.

Dott.ssa Ilenia Strano
Podologa

L’occhio del bambino

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imageL’occhio

L’occhio è uno degli organi di senso grazie al quale ci mettiamo in comunicazione con il mondo esterno. Il suo apparato motore gli consente di orientarsi verso determinati settori dell’ambiente; la sua particolare organizzazione e le sue connessioni con l’encefalo lo rendono atto a trasmettere ai centri nervosi analizzatori un complesso di segnali che ripetono fedelmente le immagini del mondo esterno. Entriamo nello specifico e cerchiamo di capire cos’è l’occhio e come curare e prevenire determinate patologie.

Come funziona

L’occhio è l’organo deputato alla visione e la retina é paragonabile a una pellicola di una macchina fotografica che trasforma i segnali visivi in segnali elettici. L’obiettivo è costituito da lenti, cornea e cristallino, che permettono di mettere a fuoco le immagini sulla retina. Le informazioni vengono poi trasmesse tramite un cavetto, il nervo ottico, al cervello.

L’occhio nelle varie fasi dello sviluppo

Alla nascita: il bulbo oculare è sviluppato ma la funzione visiva è immatura. In questa fase il bambino vede molto poco e vede il mondo in grigio.

Alla fine del secondo mese: il piccolo comincia a osservare i movimenti delle proprie mani ma la fissazione è ancora incostante. Non percepisce ancora i colori.

Verso il quarto mese: comincia a fissare meglio gli oggetti e osservare con più attenzione le proprie mani, che sono le cose che può vedere con maggior frequenza e facilità.

Alla fine del sesto mese: può fissare bene gli oggetti e ne percepire i particolari. Comincia a vedere i colori e ad avere una visione binoculare, a vedere, cioè, in tridimensione. E’ l’età in cui inizia a riconoscere il viso della mamma.

Tra il primo e il terzo anno di vita: lo sviluppo della vista procede velocemente per completarsi verso i 6 anni.

Quando ricorrere all’oculista

Alla nascita – Il controllo consente di esaminare il cristallino e individuare in modo precoce una sua eventuale opacizzazione, sintomo di cataratta congenita. Inoltre è importante una visita oculistica per i bambini nati pretermine e per tutti quelli per cui si sospetti un problema visivo per esaminare in modo approfondito il fondo dell’occhio e per verificare che non siamo presenti danni al vitreo o alla retina.

Entro i 12 mesi – Nel primo anno di vita, anche se il neonato non è in grado di collaborare, la visita oculistica permette di valutare l’eventuale presenza di malattie congenite e la presenza di importanti difetti della vista.

Entro i 3 anni – L’oculista deve controllare se il bambino è affetto o no da ambliopia, un deficit visivo causato per lo più da una forte differenza di potere visivo fra i due occhi dovuta in genere a ipermetropia o astigmatismo (la conseguenza è il cosiddetto occhio pigro).

Entro i 6 anni – L’oculista deve valutare se lo sviluppo oculare del bambino è normale.

“Occhio”agli occhi

occhio bambino

Osservate attentamente gli occhi del vostro bambino ed il suo comportamento. Può essere segno di allarme e comunque richiede consulenza oculistica il bambino che:

Si avvicina troppo all’oggetto fissato
Ha mal di testa
Ha gli occhi arrossati
Tiene la testa inclinata o ruotata sul lato destro o sinistro
Compie frequentemente errori di lettura
Esce dalla righe quando scrive
È pigro, svogliato, poco attento
Devia l’occhio in modo costante o incostante
Presenta un riflesso biancastro della pupilla
Ha gli occhi grandi
Ha un occhio più sporgente dell’altro
Soffre di fotofobia (fastidio alla luce) e/o lacrimazione
Strizza le palpebre per guardare lontano

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Dott. Gregorio Lo Giudice
Oculista

Ictus e Tia

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Che cos’è un ictus

Ictus è un termine latino che letteralmente significa “colpo” (in inglese “stroke”). In Medicina, indica un danno cerebrale persistente, ad esordio acuto, dovuto a cause vascolari. L’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) lo definisce come l’improvvisa (ecco perché “ictus”) comparsa di segni e/o sintomi riferibili a deficit focale e/o globale (coma) delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 ore o ad esito infausto (è importante precisare che un intervento tempestivo può dare risultati insperati). La caratteristica principale del disturbo è, dunque, la sua insorgenza
improvvisa: una persona in pieno benessere può accusare, di colpo, sintomi tipici che possono essere transitori, restare costanti o anche peggiorare nelle ore successive. Talvolta è possibile che alcuni sintomi precedano l’ictus, ad esempio una cefalea intensa e improvvisa, anche se non sono assolutamente specifici.

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Ictus e Tia-Foto 1

Che cos’è un Tia

Il TIA, abbreviazione di Attacco Ischemico Transitorio, ha gli stessi sintomi di un ictus, ma i disturbi neurologici o oculari che lo caratterizzano durano soltanto poche ore o pochi minuti e, per definizione, la loro completa remissione avviene entro le 24 ore dall’esordio. Un TIA è un campanello d’allarme importante perché la sua manifestazione può precedere di qualche ora o giorno l’insorgenza di un ictus definitivo e quindi riconoscerlo tempestivamente può significare scoprire le cause e curarle per tempo.

Le dimensioni del problema

L’ ictus cerebrale in Italia rappresenta la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie; è la prima causa assoluta di disabilità. Sempre in Italia, ogni anno circa 200.000 persone vengono colpite da ictus cerebrale, di cui l’80% sono i nuovi casi e la restante parte è costituita dalle recidive. Il 75% dei casi di ictus colpisce le persone con più di 65 anni e circa 10.000 eventi capitano a chi ha meno di 55 anni. Ogni anno, un Medico di famiglia italiano ha
almeno 4-7 pazienti che vengono colpiti da ictus cerebrale e deve seguirne almeno una ventina sopravvissuti con esiti invalidanti. Il 10-20% delle persone colpite da ictus cerebrale per la prima volta muore entro un mese ed un altro 10% entro il primo anno. Fra le restanti, circa un terzo sopravvive con un grado di disabilità elevato, tanto da renderle non autonome, un terzo circa presenta un grado di disabilità lieve o moderato che gli permette di tornare al proprio domicilio in modo parzialmente autonomo e un terzo, i più fortunati o comunque coloro che sono stati colpiti da un ictus in forma lieve, tornano totalmente autonomi al proprio domicilio. Coloro che sopravvivono con una disabilità importante spesso richiedono l’istituzionalizzazione in reparti di lungodegenza o in residenze sanitarie assistenziali (RSA); alcune famiglie, ma non tutte se lo possono permettere, si organizzano per riaccogliere il parente a domicilio. Inutile dire che i costi sia a carico delle famiglie che del sistema sanitario nazionale sono elevatissimi. Si calcola che una persona colpita da ictus costi nella fase acuta di malattia circa 10.000 euro. L’invalidità permanente delle persone che superano la fase acuta della malattia determina negli anni successivi una spesa che si può stimare intorno ai 100.000 euro. Sotto l’aspetto psicologico, personale e familiare, poi, i costi non sono calcolabili: per tutti questi motivi, l’ictus rappresenta un vero e proprio problema sociale.

Ictus: a cosa è dovuto

Come detto, l’ictus è un danno dovuto a cause vascolari e, pertanto, è un disturbo circolatorio del sangue all’interno delle arterie del cervello, alla stessa stregua dell’infarto cardiaco. Il cervello riceve il sangue da diverse arterie (vasi sanguigni che dal cuore portano sangue e ossigeno in tutto il corpo): anteriormente da due arterie chiamate carotidi (destra e sinistra) e posteriormente dalle arterie vertebrali, che decorrono in entrambi i lati del collo. Il cervello, per lavorare in modo corretto, ha bisogno più di qualsiasi altro organo di un continuo apporto di ossigeno e di nutrimento tramite il sangue, del buon funzionamento dei vasi sanguigni e della normale contrazione del cuore.

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Il danno a questi vasi sanguigni può essere di due tipi:

il vaso si può occludere (per aterosclerosi, trombi, coaguli, etc..) e in questo caso parliamo di ictus ischemico (che rappresenta circa il 75% dei casi);
il vaso può andare incontro a rottura (soprattutto per iper tensione, aneurismi, etc.) e si parla di ictus emorragico (rappresenta il restante 25% circa).
Nelle forme ischemiche la parte di cervello che viene irrorata dal vaso occluso non viene più rifornita di sangue e ossigeno, fondamentali per consentire la sopravvivenza delle cellule cerebrali,
che vanno quindi incontro a morte cellulare (necrosi) e quella zona di cervello perde la sua funzione, manifestando la sintomatologia dell’ictus (cecità, paralisi, vertigini etc., a seconda della zona di cervello che non riceve più sangue). Affinché si realizzi questa situazione è necessario che il periodo di ischemia sia prolungato e persistente, altrimenti se dura per poco tempo e successivamente si ha la ripresa totale delle funzioni cerebrali, si verifica quello che viene classificato come TIA. Nelle forme emorragiche il sangue distrugge, con azione meccanica, una parte del cervello.

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Ictus: come si manifesta

I sintomi legati all’ictus sono diversi e dipendono dalla zona di cervello che è stata danneggiata. Di solito un ictus che colpisce un lato del cervello provoca difficoltà nella parte opposta del corpo.
Vi sono alcuni sintomi improvvisi che devono mettere in allarme il soggetto non appena li avverte.
Quali sono i tipici sintomi di un ictus?

non riuscire più a muovere (paralisi o plegia) o muovere con minor forza (paresi o ipostenia), un braccio o una gamba o entrambi gli arti di uno stesso lato del corpo;
accorgersi di avere la bocca storta (deviazione della rima buccale);
rendersi conto di non sentire più (anestesia), di sentire meno (ipoestesia) o di sentire in maniera diversa (parestesia), un braccio o una gamba o entrambi gli arti di uno stesso lato del corpo;
non essere in grado di coordinare i movimenti (dismetria), di stare in equilibrio (astasia) o di deambulare (ad esempio, atassia);
far fatica a parlare sia perché non si articolano bene le parole (disartria) sia perché non si riescono a scegliere le parole giuste o perché non si comprende quanto viene riferito dalle persone intorno (afasia);
non riuscire a vedere bene metà o una parte degli oggetti (emianopsia);
essere colpiti da un violento mal di testa (cefalea), diverso dal solito.

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Quali sono i fattori di rischio

Con il termine “fattori di rischio” si intendono le condizioni personali o ambientali che predispongono ad ammalarsi e che aumentano quindi il verificarsi di questa grave patologia. Alcuni fattori di rischio purtroppo non possono essere corretti (fattori di rischio non modificabili):

età: l’incidenza di ictus aumenta con l’età e dopo i 65 anni aumenta quasi esponenzialmente;
familiarità: avere un parente diretto che è stato affetto da questa malattia comporta un rischio maggiore rispetto a chi ha familiarità negativa per ictus;
sesso: quello maschile è lievemente più colpito, specie nelle fasce di età più giovani, in quanto le donne sono protette dagli ormoni sessuali almeno fino alla menopausa. Dopo i 65 anni l’incidenza è la stessa, mentre dopo gli 80 risulta maggiormente affetto dalla patologia il sesso femminile, soprattutto perché le donne vivono più a lungo e sono, perciò, più numerose.
Vi sono invece fattori di rischio che possono essere corretti con comportamenti adeguati o specifici trattamenti farmacologici (fattori di rischio modificabili):

ipertensione arteriosa: è il principale fattore di rischio sia per l’ictus ischemico sia per quello emorragico; si parla di ipertensione quando i valori della pressione si mantengono costantemente sopra i 140 mmHg di massima e gli 85 mmHg di minima;
diabete mellito: si definisce quando i valori degli zuccheri nel sangue (glicemia a digiuno) superano i valori normali;
ipercolesterolemia: livelli oltre la norma del colesterolo LDL (cattivo) e dei trigliceridi determinano l’incremento del rischio per ictus in proporzione all’aumento dei loro valori;
fumo di sigaretta: aumenta di 2-3 volte il rischio di ictus; dipende dal numero di sigarette fumate al giorno e dal numero di anni in cui si è fumato;
cardiopatie: essendovi una stretta correlazione tra cervello e cuore, aritmie cardiache, in particolare la fibrillazione atriale, o anche la presenza di protesi valvolari, un recente infarto miocardico, un’endocardite infettiva o il forame ovale pervio, sono condizioni che aumentano il rischio di ictus, soprattutto ischemico;
stenosi carotidea, ossia presenza di placche ateromasiche a livello dei grossi vasi del collo;
obesità (favorisce soprattutto l’insorgenza del diabete);
ridotta attività fisica;
emicrania;
pillola estroprogestinica: sono a rischio le donne che la assumono e soffrono di emicrania e/o sono fumatrici;
abuso di alcool o uso di droghe: mentre una quantità moderata di vino, un bicchiere a pasto, può essere protettivo, l’eccesso di alcool causa l’effetto contrario, aumentando il rischio di ictus.

 

Come si può prevenire un ictus

L’ictus si può prevenire e una quota non indifferente di casi (2 su 3) potrebbe essere evitata, seguendo alcune semplici norme di vita sana ed identificando i fattori di rischio individuali, modificandoli in misura personalizzata.

Almeno 2 volte l’anno è consigliabile misurarsi la pressione arteriosa in modo tale da svelare un’eventuale ipertensione arteriosa latente e misconosciuta. Chi soffrisse già di ipertensione arteriosa deve attentamente monitorarne i valori per adeguare eventualmente la terapia.
E’ consigliabile che effettui almeno 1 o 2 volte l’anno la misurazione della glicemia per rilevare un eventuale diabete latente o una semplice intolleranza ai carboidrati (stato che precede il diabete e che può essere corretto semplicemente con dieta e attività fisica). Chi fosse già diabetico deve controllare spesso i valori glicemici e attenersi scrupolosamente alla dieta e alle terapie prescrittegli;
E’ opportuno che smetta di fumare;
E’ consigliabile che almeno 1 volta l’anno controlli i valori di colesterolo nel sangue. Se elevati dovrà seguire una dieta povera in grassi e, se necessario, assumere una terapia per ridurre i livelli di colesterolo.
Chi è affetto da cardiopatie, in particolare da fibrillazione atriale dovrà seguire una terapia antiaggregante o anticoagulante orale, per diluire il sangue e ridurre il rischio di ictus celebrale embolico; in ogni caso andranno seguite periodiche visite di controllo cardiologiche ed eventualmente neurologiche;
E’ consigliabile che svolga attività fisica almeno 2-3 volte alla settimana. Non è necessario che siano attività impegnative, è sufficiente camminare a passo sostenuto per almeno mezz’ora;
E’ consigliabile alimentarsi in modo corretto scegliendo un’alimentazione non troppo ricca di grassi e di sale;
E’ consigliabile che non ecceda con il consumo di alcolici.
Un’alimentazione corretta ed un’attività fisica costante permettono di mantenere anche un adeguato peso corporeo. L’obesità è anch’essa, infatti, un fattore di rischio per l’ictus.
Fra i giovani, in particolare fra le donne, chi soffrisse di emicrania dovrebbe evitare di fumare e di assumere la pillola estroprogestinica, poiché, in questo modo, ridurrebbe significativamente il rischio di ictus cerebrale.
Almeno 1 o 2 volte l’anno è consigliabile recarsi dal proprio Medico di famiglia e seguirne i consigli per effettuare una valida prevenzione primaria.
Chi ha già avuto un ictus cerebrale deve almeno 2 volte l’anno effettuare le visite di controllo programmate sia dal neurologo che da altri specialisti, come ad esempio il cardiologo, e deve eseguire gli esami strumentali di controllo che gli vengono richiesti (per es. Ecocolor Doppler dei vasi del collo, Doppler Transcranico, Ecocardiogramma).

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Cosa fare quando si manifestano i sintomi

L’ictus è un’emergenza medica e quando ci si rende conto di avere uno dei sintomi sopra descritti, è importante recarsi immediatamente in Pronto Soccorso o meglio ancora chiamare il 118, che mette a disposizione personale qualificato, già in grado di effettuare una diagnosi e quindi di indirizzare negli ospedali dotati di reparti adeguati, attrezzati e competenti. La diagnosi e le cure precoci possono evitare un aggravamento e le numerose complicanze che possono far seguito; contemporaneamente riescono a ridurre le conseguenze invalidanti.

Cenni di trattamento

I risultati delle cure sulle persone colpite da questa patologia dipendono molto dal trattamento medico e, ancor più, dall’assistenza. Gli obiettivi degli interventi terapeutici sono quelli di ridurre e migliorare la disabilità delle persone colpite da ictus, prevenire le complicanze e l’insorgenza di un nuovo ictus. Tali obiettivi possono essere raggiunti tramite il sostegno delle funzioni vitali, la mobilizzazione del paziente, stimolandolo ad essere il più possibile indipendente, e l’attenzione alle sue necessità assistenziali. La riabilitazione inizia durante il periodo di ospedalizzazione, non appena è stata confermata la diagnosi e si sono stabilizzate le condizioni cliniche. Tanto più precocemente viene iniziata, migliori sono i risultati che solitamente si ottengono in termini di riduzione delle disabilità. Poiché la persona colpita deve essere attentamente osservata durante le prime 24–48 ore, soprattutto con continua valutazione delle funzioni vitali e dei segni neurologici, anche per poter stabilire un programma di riabilitazione idoneo, è auspicabile che la stessa venga ricoverata in reparti altamente specializzati chiamati “Centri Ictus” (“Stroke Units”).

 

Dott. Giuseppe Lanza
Neurologo
Socio A.L.I.Ce. – Sezione di Catania

[Modificato da “Conoscere l’ictus”, A.L.I.Ce. Italia Onlus – Associazione per la lotta all’ictus cerebrale, 2008]

Gallerie al buio, un pericolo per la vita: aiutiamo gli occhi

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I nostri occhi non riescono ad abituarsi al passaggio repentino dalla luce al buio. Un esempio tangibile è quando, in autostrada, si entra in una galleria al buio e ad alta velocità avendo una sensazione di accecamento, con possibili gravi conseguenze.

I coni, fotorecettori presenti nella zona centrale della retina – detta macula – permettono agli occhi di avere una visione “ad alta definizione” e di avere la percezione dei colori. I bastoncelli sono deputati alla visione notturna e si attivano all’imbrunire, invece quando si è al buio i bastoncelli hanno il compito di mettere a fuoco e permettere di vedere.
L’occhio ha bisogno di un tempo di adattamento per poter svolgere la sua funzione, un tempo in cui gradualmente si passa dalla luce al tramonto per poi arrivare al buio. Nello specifico questo avviene perché quando si passa da un ambiente luminoso a un ambiente buio i bastoncelli, deputati alla visione notturna, hanno bisogno di qualche secondo per attivarsi. Durante questi secondi non si vede. Se questo accade in un ambiente sicuro, come lo è la casa, non vi è alcun problema ma la situazione cambia, diventando rischiosa, quando si guida in autostrada a 100 km/h. Non da sottovalutare è il passaggio dal buio alla luce, un passaggio altrettanto rischioso. Ecco perché è necessario che una galleria sia illuminata, soprattutto di giorno, per evitare quel periodo di tempo di cecità dettato dall’adattamento al buio e quindi dall’attivazione dei bastoncelli.

Per poter guidare con più serenità e porre tutte le condizioni per cercare di evitare gravi conseguenze alla guida, si consiglia, non solo di rispettare i limiti di velocità e di togliere gli occhiali da sole quando si entra in galleria, ma di indossare, se si possiedono, gli occhiali correttivi o comunque di risolvere i vizi refrattivi con le varie soluzioni che il medico oculista consiglia.
Quindi chi, nonostante abbia gli occhiali, accusa di non vedere bene alla guida, soprattutto di notte, è opportuno che si sottoponga a una visita oculistica per escludere qualsiasi difetto nelle lenti.
Vedere bene è vivere meglio.

 

galleria al buio galleria illuminata

 

 

 

 

 

 

Dott. Gregorio Lo Giudice
Oculista

Il diabete può portare alla cecità

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diabeteIl diabete è una patologia caratterizzata da un’alterazione del metabolismo del glucosio, che si manifesta con iperglicemia (livelli di glucosio nel sangue superiori alla norma). I pazienti che ne sono affetti, nella prima fase della malattia, possono non manifestare sintomi specifici, mentre, in fase avanzata, possono lamentare poliuria (minzione frequente), polidipsia (stato di sete intensa), astenia e perdita di peso.

Si riconoscono fondamentalmente due tipi di diabete (classificazione Who 2006, Ada 2014): il diabete tipo 1, forma meno frequente, causato dalla distruzione delle beta-cellule pancreatiche deputate alla produzione di insulina, su base autoimmune o idiopatica, caratterizzato da una carenza insulinica assoluta. Questa forma è tipica dell’età infantile e adolescenziale, mentre la variante Lada, Latent Autoimmune Diabetes in Adults, ha decorso lento e compare nell’adulto; il diabete tipo 2 è causato da un deficit parziale di secrezione insulinica che, in genere, si instaura su una condizione di insulino-resistenza colpendo l’età adulta, anche se i casi di diabete tipo 2 negli adolescenti obesi è in netto aumento.

diabete-di-tipo-1-e-di-tipo-2

Esistono altre forme meno comuni di diabete come le forme secondarie a malattie del pancreas esocrino (come pancreatite cronica), forme genetiche (difetti genetici della beta-cellula o dell’azione insulinica) o forme secondarie a terapie cortisoniche croniche e ad alto dosaggio. Il diabete gestazionale è una forma di diabete spesso transitoria che si verifica nel corso della gravidanza in donne predisposte alla malattia (familiarità per diabete, obesità pre-gravidica).

Il diabete di Tipo 1 ha una prevalenza dello 0,3 percento mentre il tipo 2 ha una prevalenza del 5 percento nella popolazione. Il dato sull’incremento della prevalenza nei prossimi 20 anni è allarmante.
Per la diagnosi di diabete è necessario un semplice prelievo di sangue o nei casi dubbi e in gravidanza è richiesta la curva da carico orale di glucosio.
Esistono forme un tempo definite di “pre-diabete” in cui il soggetto non presenta i criteri per essere definito diabetico ma in cui sono già presenti alterazioni del metabolismo del glucosio. è proprio in questi soggetti che è necessario instaurare misure di prevenzione per evitare l’insorgenza precoce del diabete. I cardini della prevenzione e della cura del diabete sono dieta e attività fisica quotidiana. La dieta non è intesa solo come restrizione calorica ma come consumo di cibi ricchi in fibre (cereali integrali, frutta, legumi), tipici della dieta mediterranea.

L’iperglicemia cronica provoca in maniera progressiva danni a diversi organi e apparati (prevalentemente occhio, cuore, reni, sistema nervoso periferico), noti come complicanze del diabete. Molti pazienti sconoscono di essere affetti da diabete e alla diagnosi spesso presentano già le complicanze della malattia.
è fondamentale sottolineare come il diabete non solo rappresenta in sé un fattore di rischio cardio-vascolare, cioè predispone a malattie quali infarto e ictus, ma nel trattamento della patologia bisogna considerare i pazienti affetti da diabete come soggetti che abbiano già avuto un evento cardio-vascolare (il diabete è un equivalente di rischio).
Per tale motivo, è necessario non solo curare la glicemia ma intervenire su tutti i fattori di rischio cardio-vascolare presenti nel soggetto diabetico (dislipidemia, ipertensione, fumo, obesità ) e instaurare gli opportuni provvedimenti terapeutici.

Oltre alle complicanze cardio-vascolari una delle complicanze pi๠temibili relative alla patologia diabetica, sia di tipo 1 che di tipo 2, è la retinopatia diabetica ed è una delle principali cause di cecità legale in età lavorativa.
è causata da una progressiva disfunzione dei vasi retinici dovuta a iperglicemia cronica. Inizialmente si mostra asintomatica ma se non trattata può causare perdita della vista fino ad arrivare alla cecità totale.

retinopatia diabetica
Le linee guida dell’American Accedemy of Ophthalmology suggeriscono che la prima vista oculistica, nel diabete di tipo 1, va eseguita a 5 anni dalla diagnosi e successivamente una volta l’anno o secondo le indicazioni dell’oculista di fiducia, invece, nel diabete di tipo 2 va eseguita quando viene fatta la diagnosi di diabete mellito e i controlli hanno cadenza annuale o secondo le indicazioni dell’oculista di fiducia. Nelle donne in gravidanza (affette da diabete tipo 1 e tipo 2) la visita oculistica va eseguita nel primo trimestre e subito dopo il concepimento. Oltre all’esame del fondo oculare si possono eseguire, per approfondimento diagnostico e a discrezione dell’oculista, ulteriori esami strumentali come l’Oct (Optical coherence tomography, che studia la morfologia e lo spessore maculare) e la fluorangiografia (foto del fondo oculare eseguite con particolari filtri, si esgue dopo aver iniettato per via sistemica un colorante che evidenzia lo stato di salute dei vasi retinici e di eventuale presenza di liquido intraretinico).

La retinopatia diabetica progredisce, da lieve a stadi più gravi, quando non c’è un intervento appropriato. è importante riconoscere le fasi in cui il trattamento può essere più vantaggioso. Diversi decenni di ricerche cliniche hanno fornito dati eccellenti sul corso naturale della malattia e sulle strategie di trattamento da adottare e che nel 90% dei casi sono efficaci nel prevenire il verificarsi di un grave abbassamento della vista.

Se l’esordio della patologia avviene nelle aree periferiche della retina passa inosservato da parte del paziente in quanto non si verificano dei cambiamenti nella vista, mentre se l’edema si trova nella porzione della retina centrale (macula) causa una notevole diminuzione della vista quindi è il paziente nota un cambiamento. La diagnosi precoce e il trattamento tempestivo della retinopatia diabetica sono essenziali.
I sintomi che può avvertire il paziente sono: mosche volanti; perdita della sola visione centrale, di un solo settore o della visione periferica; metamorfopsie (visione distorta); perdita temporanea o permanente della vista.
Le complicanze della retinopatia diabetica sono: emorragie retiniche; presenza di essudati retinici; presenza di liquido intraretinico; proliferazione vitreale di neovasi anomali; emovitreo, presenza di sangue nella camera vitrea; distacco di retina trazionale; glaucoma neovascolare.

Durante i primi stadi della retinopatia diabetica non è necessario alcun trattamento, a meno che non si riscontri un edema maculare. Per prevenire la progressione della retinopatia diabetica, chi è affetto da diabete deve controllare il livello di zucchero e colesterolo nel sangue e monitorare attentamente la pressione sistemica.
Nella retinopatia avanzata, in assenza di emovitreo e distacco di retina trazionale, il gold standard, tutt’oggi, è il trattamento laser. Anche se il rischio è una perdita della visione laterale, piuttosto che un’alterazione della visione dei colori o della visione al buio, il trattamento laser fotocoagulativo può salvare il resto della vista. Il trattamento laser scatter può ridurre leggermente la vostra visione dei colori e la visione notturna.

Se è presente un emovitreo, potrebbe essere necessario un intervento chirurgico chiamato vitrectomia in cui il sangue viene rimosso dal centro del tuo occhio. Tale intervento si esegue se strettamente necessario in quanto è altamente destrutturante per l’occhio.
Se viene fatta diagnosi di edema maculare, in considerazione dell’importanza dell’edema, l’oculista – oltre al trattamento laser e alla luce delle linee guida internazionali – potrebbe consigliare delle punture intravireali di cortisone o Anti-Vegf.
Nei pazienti diabetici vi è un aumento dell’incidenza di alcune patologie oculari come la cataratta, il glaucoma, alterazioni dei muscoli estrinseci oculari, malattie della cornea e una maggiore suscettibilità alle infezioni.

Conclusioni – Da quanto esposto, emerge come la prevenzione e la cura del diabete rallentino l’incidenza e la progressione dei danni alla retina, oltre che dei danni cardio-vascolari, renali e neurologici, poiché la malattia è sistemica, globale. è necessaria, dunque, una maggiore sensibilità da parte dei medici e degli operatori sanitari alla cura della persona con diabete, mirata alla prevenzione primaria instaurando corretti stili di vita e alla prevenzione secondaria, soprattutto rispettando la cadenza dei controlli periodici, per poter intervenire laddove si instaurino dei danni iniziali prima che diventino irreversibili.

 

retinopatia diabetica...come si vede

Articolo a cura della dott.ssa Rossella Strano, endocrinologa diabetologa, e del dott. Gregorio Lo Giudice, oculista.

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